EL Sé “Ti sto mentendo se ti dico a te la stessa bugia che dico a me stesso?”
(Robert Brault)…
Ho passato la giornata a riflettere su questo.
Pensateci, ci sono persone che nemmeno si rendono conto di quanto è grande la loro bugia perché hanno passato la vita intera a raccontarla a sé stessi.
Perché? Semplicemente per sopravvivere.
Bisogna avere forza per vivere nella verità, nell’onestà, coraggio e soprattutto amor proprio.
Non tutti ce l’hanno quella forza, probabilmente anche per il loro vissuto: per genitori che non li hanno mai apprezzati e incoraggiarti, per incontri sbagliati, in amore o sul lavoro, e scelte sbagliate di cui ancora oggi si pentono.
E così, chi mente a sé stesso, si costruisce una corazza e indossa mille maschere. Maschere che puntualmente cadono di fonte alla verità. Perché, la vita, prima o poi presenta il conto e la verità te la sbatte in faccia.
L’uomo che mente a sé stesso in quel caso ha due possibilità: lasciare a terra la maschera e affrontarsi una volta per tutte; oppure fare, per l’ennesima volta nella sua esistenza, terra bruciata intorno a sé, e indossare una nuova maschera da mostrare al nuovo mondo in cui sceglierà di abitare…a meno che non siate voi a piegarvi, a raccogliere quella maschera, ricomporla e a rimettergliela sul viso per “pena”.
Ma la pena non è un sentimento nobile ed è un sentimento che non ha mai aiutato o salvato nessuno…
Io li definisco i “nomadi del Sé”: coloro che sono costretti a girovagare senza sosta e senza meta nella loro stessa vita.
Nomadi di sé stessi perché scappano dal proprio dolore, dalle proprie paure, dalle proprie responsabilità e che quindi ogni volta si devono “ricostruire” una faccia e una facciata per far parte del mondo a cui tanto vorrebbero appartenere e tuttavia non riescono perché non si sentono all’altezza.
Sono persone che ciclicamente, fateci caso se ne conoscete qualcuna, cambiano amici, intere compagnie, lavori, ambienti e così via. Non hanno punti fissi, relazioni “stabili”, rapporti di “lunga data” che portano avanti costantemente, di nessuna natura: nemmeno famigliare, perché spesso non si riconoscono nella loro stessa famiglia.
Sono persone che transitano una o più volte nella nostra vita, perché a volte ritornano eh, con una nuova maschera, a volte addirittura con delle scuse.
Ma poi, si rendono conto che non reggono quella maschera che, strato di bugia su strato di bugia, inizia a pesare come un macigno, fino a quando sbatte contro la verità della vita e si frantuma (con gran fracasso) spargendo ovunque e a casaccio pezzetti di quelle piccole e grandi menzogne…
Arrivati a quel punto, tanta è l’umiliazione, il dolore e la paura, che credono di poter fare una cosa soltanto: scappare. Ricominciano quindi a radere al suolo tutto ciò che hanno intorno, tutto quel mondo che prima li ha accolti e poi li ha fatti sentire tanto inadeguati (a parer loro). Quel mondo che invidiano da sempre e che allo stesso tempo odiano e disprezzano perché ancora una volta non riescono a farne parte veramente.
Ma non è il mondo a farli sentire inferiori e inadeguati: sono loro stessi, da sempre, che si sentono non compresi, non stimati, non amati. Ed è quello che riflettono nella loro stessa vita, fatta di paura del giudizio, perché è il loro metro di misura per il “successo”; di rancore per un passato che sanno che non possono (ma vorrebbero) cambiare perché non sanno accettarlo e andare oltre; paura di perdere occasioni già perdute…
Così, quei poveri Nomadi, ricominciano a girovagare…vestiti a festa e con la loro migliore maschera trovano altri amici, altri posti da frequentare, altri lavori, altri hobby. Vagano, portandosi dietro l’odore di terra bruciata, le mani tremanti per aver impugnato ancora una volta l’ascia di guerra e lo sguardo vigile e svelto di chi è abituato a guardarsi dai quei nemici che sono sempre dietro, di lato, ma che mai sono riflessi nel loro stesso specchio.
Sono anime infelici quelle, anime che spargono spesso, involontariamente, la loro infelicità e se la vedono ripiombare addosso.
Perché gettare infelicità su un infelice ha il risultato di amplificare quella dell’altro e quindi, poi, se ne viene inevitabilmente contagiati; gettarla sulla persona felice, forse è ancora peggio, perché ci si trova di fronte ad un muro di gomma che fa rimbalzare sul povero Nomade la sua stessa infelicità, pari pari a come l’ha scagliata…
È così che la maschera si frantuma.
Ancora una volta. E ancora una volta il Nomade del Sé riprende il suo viaggio.